Cos’è la “comfort zone”? Ne avete mai sentito parlare? E cosa ci può dire in questa delicata fase in cui la secondata ondata del virus si riaffaccia all’orizzonte del mondo?
Siamo nuovamente immersi in un periodo in cui ogni giorno ci bussa alla porta un “cambiamento”, cui ci è richiesto di adattarci: è sicuramente faticosissimo… ma cosa può insegnarci?.. può insegnarci a sognare! Perché “la comfort zone è il luogo fuori dal quale abitano i nostri sogni”.
Rispondiamo prima di tutto alla domanda principale: cos’è la comfort zone?:
Risuoniamo tutti di “musiche familiari”, che conosciamo “a menadito” e che fanno muovere i nostri piedi sulla base della memoria, in modo pressoché “automatico”!
Pensiamo, ad esempio, ad un bambino che cresce in una famiglia che balla il tip-tap, un tipo di ballo che magari potrebbe non gradire, rifiutare.. insomma: un ballo e una musica che non gli piacciono!
Paradossalmente, però, questa musica lo fa sentire a proprio agio, lo rassicura, gli da un senso di “identità” in cui si riconosce, perché ormai ci è abituato ed è diventato esperto, si destreggia bene fra quelle familiari note.
Proprio per questo motivo, nella nostra vita, scegliamo spesso di ricalcare le strade che abbiamo già percorso, anche quando non ci piacciono. “Ci piace ciò che mangiamo, non mangiamo ciò che ci piace”, ricordava sempre un mio professore universitario, per indurci ad accorgerci che spesso ci fermiamo a ciò che conosciamo, senza spingerci oltre, senza esplorarci davvero; tendiamo ad accomodarci (in una “comfort zone”, appunto) senza, quindi, esprimere al massimo le nostre potenzialità e talenti, senza allenarci alla flessibilità, che ci renderebbe più forti e adattivi.
E perché? Perché è meno faticoso, perché preferiamo la comodità (detta anche “vantaggio secondario”) alla reale felicità, al reale dispiegamento delle nostre “ali”. Scegliamo spesso di rimanere bozzoli, senza trasformaci in farfalle.
Non possiamo “nasconderci dietro un dito”, non possiamo tentare di annientare l’imprevisto barricandoci dietro il nostro umano desiderio di certezza e sicurezza.. perché non è reale!
Non possiamo “controllare” la vita, ma possiamo cavalcarla al meglio, come valchirie e cavalieri coraggiosi, sempre in cerca di nuove terre da far fiorire, sempre pronti a fronteggiare la tempesta o la carestia, sempre pronti a superare nuove “sfide”, che ci conducono ad esplorare e ad esprimere al massimo la nostra forza e le nostre capacità.
Per cui: “usciamo dalla zona di comfort”, scegliamo di ballare una musica nuova, perché non possiamo sapere se ci piacerà.. prima di assaggiarla, prima di adattarci al cambiamento delle sue note. Ma soprattutto non lasciamo che ci accada di “non vivere per paura di morire” o di abbatterci perché dei cambiamenti si affacciano alla nostra vita.
Traiamo spunto da questo bellissimo racconto dossier che narra la storia di un famoso pianista, pubblicato su Repubblica il 27/10/2020 e portato alla mia attenzione proprio stamane dal mio caro amico e regista Oscar Nani.
Dott.ssa Monica Crivelli
“Cosa fare quando tutto sembra andare storto? Cosa fare adesso? Qualche giorno fa uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi, sì, Keith Jarrett, ha detto al mondo: ho avuto due ictus, non sono più un pianista. Ci lascia con più di mezzo secolo di grande musica e una lezione di vita indimenticabile. Il concerto di Colonia del 1975. Non so se avete già sentito la storia del concerto di Colonia del 24 gennaio 1975. Quando mi chiedono come nasce l’innovazione, come si crea un capolavoro, io ripenso a quello che accadde quella sera a Colonia. Keith Jarrett aveva appena 29 anni ed era già famosissimo. Dopo diverse collaborazioni prestigiose, era sbarcato in Europa per la prima tournée da solo. A Colonia arrivò da Zurigo nel pomeriggio di un gelido giorno di pioggia che sembrava fatto apposta per mandare tutti al diavolo: non dormiva da due giorni, aveva un mal di schiena furioso e quando nel pomeriggio salì sul palco per le prove, invece del pianoforte che aveva chiesto (un Bosendorfer Grand Imperial), ne trovò uno più piccolo, scordato e con i pedali fuori uso. Ok, me ne vado, disse più o meno, era il minimo. Ma l’organizzatrice era una ragazzina di 19 anni, Vera Brandes e quella notte era il sogno della sua vita e non poteva lasciarla svanire così: inseguì Keith Jarrett disperata fin fuori dal teatro: lo trovò che era già in macchina, gli implorò di suonare lo stesso, gli promise che il piano lo avrebbe fatto accordare, certo era piccolo per il teatro da 1400 posti, tutti venduti, ma, disse più o meno, ti prego fallo per me. Vera Brandes doveva avere una passione notevole perché Jarrett accettò; alle 23 e 30 salì sul palco e letteralmente creò musica per circa un’ora. Suonò in modo incredibile, forse proprio perché sapeva che il pianoforte non era adatto, ci mise una energia e una intensità mai viste, dicono, prima e dopo. Il suo manager registrò l’esibizione e quel concerto è diventato il disco di piano solo più venduto della storia del jazz. Avrebbe potuto non suonare, quella sera Keith Jarrett, ne aveva tutte le ragioni. E invece ha suonato e ne è venuto fuori il più bel concerto della sua vita.
A volte anche noi nella vita non abbiamo il pianoforte adatto e tutto sembra andare storto: ma se abbiamo qualcosa di bello da raccontare, se abbiamo qualcosa di unico dentro, è il momento di dimostrarlo. Da sempre le cose cambiano, le migliori innovazioni succedono, quando usciamo dalla zona di comfort e ci mettiamo a suonare davvero.”
Questi ultimi mesi ci hanno costretti a modificare moltissimo le nostre abitudini. E’ cambiato il nostro modo di lavorare, di incontrare i nostri cari, di passare il tempo libero e in generale siamo dovuti uscire dalla tanto tiepida e rassicurante comfort zone. Ognuno di noi nel corso della propria vita avrà più volte sperimentato questa sensazione, sicuramente anche prima dell’arrivo di questo virus. E quante volte con l’uscita dalla zona di comfort sono arrivati degli inaspettati benefici? Una forza in noi stessi che non pensavamo di avere, una sicurezza e una fiducia nelle nostre capacità che ci hanno sorpresi, un’idea davvero brillante o, come nel caso di Jarrett, un concerto memorabile. Quanti bozzoli possono trasformarsi in farfalle in questi momenti!!!
Caro lettore, a questo punto vorrei chiederti: qual è stata per te la volta più importante in cui, uscendo dalla routine, dalla comodità, dagli schemi sei riuscito a trasformarti in farfalla? O quella volta in cui sei riuscito a utilizzare una situazione che sembrava drammatica a tuo vantaggio?
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