Ragazze e ragazzi che soffrono di un disturbo del comportamento alimentare (DCA) si misurano costantemente, pur senza saperlo, con una immagine ideale di bellezza relativa a ciò che vorrebbero essere e che mai riescono a raggiungere, almeno nella loro percezione di sé.
Nonostante sia spesso negata e non riconosciuta, questa sorta di “vocina interiore” spinge ad andare sempre oltre, a spostare continuamente l’asticella, alla ricerca illusoria della “perfezione”, che per ovvie ragioni non sarà mai raggiunta.
Per ognuno nel calderone “perfezione” c’è qualcosa di sottilmente diverso, che non riguarda unicamente l’aspetto estetico; ma oltre alle differenti singolarità, sono rintracciabili molti aspetti comuni che tradizionalmente hanno sempre fatto riferimento a un ideale di bellezza etereo, ascetico, asessuato, immortale.
Un corpo che pare non aver bisogno di nulla che provenga dall’esterno per esistere, puro, incontaminato e per questo considerato bellissimo, praticamente surreale.
Tra i giovani cambia l’ideale di bellezza
L’incontro quotidiano con ragazze che di tutto questo ne sanno qualcosa, mi ha portato a osservare e condividere con i colleghi dell’equipe DCA il farsi largo di un cambiamento significativo in questa implicita idea di perfezione.
Si tratta di un cambiamento, non senza eccezioni chiaramente, che va di pari passo con quello che è possibile notare nel mondo che ci circonda: oggi la bellezza non ha più molto a che vedere con le passerelle e i corpi filiformi, bensì con muscoli e corpi atleticamente definiti.
Basta scorrere velocemente le homepage di Instagram, Facebook o farsi un giro su Youtube per trovare prove evidenti a riguardo: traboccano di post in cui troneggiano ragazze concentrate in sala pesi oppure programmi di fitness che assicurano un cambiamento radicale della propria forma fisica, nella direzione di una certa prestanza e tonicità.
In un certo senso è come se l’ideale del corpo femminile e quello maschile, quest’ultimo da sempre improntato più alla forza e alla performance, si siano avvicinati molto fino quasi a sovrapporsi. Il corpo fragile, debole, delicato dell’anoressica classica, che da solo esprimeva già tutto il dolore interiore del cuore e dell’anima, pare stia cedendo sempre più il passo a un corpo forte, muscoloso, possente, molto meno “attaccabile” anche dall’opinione pubblica, perché tendenzialmente associato a un “corpo sano”.
Ma è davvero così?
Possiamo davvero parlare di corpi più sani? E della mente? È vero che fisici di questo tipo allontanano maggiormente il fantasma della morte, che nell’anoressia restrittiva pura è sempre in agguato, ma la sofferenza e il dolore sottostanti paiono esattamente i medesimi. In altre parole, è cambiato l’involucro, ora più socialmente condivisibile, ma non il contenuto.
Certo non c’è da fare di tutta l’erba un fascio; non è infatti mia intenzione demonizzare la ricerca di un benessere psicofisico, che coinvolga e parta anche da una sana attività sportiva, anzi; come sempre ciò che fa la differenza (e che solo la persona stessa può riconoscere davvero in un onesto rapporto con sé) è il vissuto che accompagna determinate scelte. Il senso del sacrificio senza limiti, l’ossessività, l’avere un’immagine negativa di sé, il non riuscire a godere fino in fondo dei risultati raggiunti, possono essere segnali di un disagio sottostante che si cerca di nascondere anche a sé stessi travestendolo da qualcos’altro.
La vigoressia
Oggi i disturbi del comportamento alimentare si sono molto variegati, assumendo forme più sfumate e complesse di prima; tra queste la vigoressia è quello più rappresentativo del cambiamento appena descritto. Un tempo considerata la forma maschile dell’anoressia, oggi diventa sempre più un modo unisex attraverso cui il disagio psicologico si manifesta.
Come tutti i DCA, anche queste nuove forme necessitano di un intervento di rete, il più possibile integrato, tra esperti del campo psicologico e dietetico/nutrizionale; non sempre infatti l’intensa attività sportiva di queste situazioni, si accompagna a una dieta bilanciata, adeguata e completa, portando a sovraccaricare il fisico nelle singole sue parti.
Dott.ssa Alessandra Micheloni