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Quando le discipline orientali e le pratiche spirituali diventano una scorciatoia e non un’occasione di crescita personale: la dissociazione al posto dell’integrazione

Il concetto di bypass spirituale compare per la prima volta nel 1984, ad opera di John Welwood, che lo definisce una trascendenza immatura, ossia quella tendenza a volersi elevare oltre la dimensione umana, prima però di averla conosciuta, integrata ed affrontata. 

In pratica è l’uso, più o meno consapevole, di idee e pratiche spirituali per evitare di affrontare problemi psicologici, emozioni negative irrisolte, ferite non curate, disagi in generale. 

Come si origina un tale atteggiamento?

 Di solito una persona avverte un disagio interiore, qualcosa che non va, un po’ di ansia, qualche stato depressivo. Da qui la voglia di cambiare qualcosa, di migliorare, di diventare la versione migliore di sé. Di fronte a ciò molte persone intraprendono svariati percorsi di crescita personale, più o meno funzionali, più o meno adeguati al disagio che provano. Molto spesso purtroppo è però facile incappare in promesse di soluzioni e benessere facili, rapidi e indolori. Da qui la tendenza quindi a “buttarsi” sulle discipline spirituali con l’intento di recuperare uno stato di benessere facile, in realtà evitando totalmente di elaborare il disagio sottostante, il dolore, o le emozioni negative che ne derivano. 

Cosa accade a chi entra in questa modalità?

Succede che nobili pratiche come lo yoga, la meditazione il qi gong, vengano usate come delle scappatoie, dei rifugi per evadere dall’elaborazione del dolore, invece che come integrazione di un serio percorso di crescita personale. Perché se è vero che da un lato le evidenze scientifiche a favore dei benefici della meditazione e della mindfulness sono numerosissimi e indiscutibili, dall’altro la pratica che spesso viene proposta da persone improvvisate guru diventa molto pericolosa. Le pratiche vengono spesso svuotate di senso, diventano quasi una sorta di obbligo che crea una forte resistenza al cambiamento invece che incentivarlo. Non è raro incontrare persone catturate in un loop infinito che crea una sorta di dipendenza. 

Bypass come meccanismo di difesa 

Quello che accade è che tutta la pratica spirituale diventa un enorme meccanismo di difesa contro l’elaborazione del dolore e lo scendere in contatto con la nostra dimensione più umana.  E l’illusione così che si possa uscire dalle problematiche anche più serie, senza in realtà affrontarle, ma evitandole, bypassandole appunto. 

Invece che aiutare l’integrazione delle limitazioni umane, fine ultimo di qualsiasi disciplina spirituale in realtà, tale modalità diventa per assurdo invece un sostituto compulsivo per evitare il dolore, preparando la persona a sperimentare in futuro disagi in forme diverse e a volte ben più complessi, come per esempio “inaspettati” e violenti attacchi di panico. 

Alcuni esempi

Persone che evitano attraverso la spiritualità di scendere a patti con problemi sottostanti sono ossessionate dalle emozioni negative: mettono in atto strategie per cercare di evitarle il più possibile, fino a una vera e propria repressione. Come se per raggiungere il benessere l’unico modo sia evitare il dolore, la rabbia, la tristezza. Soprattutto appaiono spaventate dalla rabbia, dalle uscite rabbiose proprie e di altre persone. Le conseguenze di un simile atteggiamento sono facilmente immaginabili, meno forse il senso di disagio che si trovano a provare queste persone in una giornata dove le uniche emozioni che emergono sono proprio quelle negative. Diventa inaccettabile e spesso può scatenare sensi di colpa profondi per la sensazione di incapacità di comandare e dirigere i propri stati emotivi. Cade subito così un pilastro delle discipline orientali: l’accettazione. 

 La stessa cosa accade con l’enfatizzare all’esagerazione il pensiero positivo, demonizzando ogni pensiero negativo come foriero di solo malessere e di intralcio alla via del benessere. 

La mindfulness con il protocollo MBSR per esempio, ci insegna proprio l’opposto: a stare con ogni emozione e pensiero, positivi o negativi che siano, imparare a fermarli accettarli perché sono nostri ed inevitabili. Attraversandoli, vivendoli e accettandoli, non rifuggendoli e considerandoli il male. In questo modo le discipline spirituali aiutano e coadiuvano un percorso di psicoterapia, ad esempio favorendo davvero un’ottima integrazione delle nostre parti umane. 

Purtroppo, invece in questo atteggiamento di bypass si crea nelle persone una vera e propria dissociazione dove ai due poli, quello positivo e giusto e quello negativo e ingiusto, viene automaticamente fornito anche un giudizio. Crolla così un altro pilastro delle discipline orientali, ossia l’assenza e la sospensione del giudizio in primis verso se stessi e le proprie emozioni e pensieri, verso la propria personale pratica e verso l’altro. Se un’emozione negativa non va provata perché questo è il precetto, in automatico cade dalla parte sbagliata del mondo e quindi giudicata, per quanto si possa continuare a predicare il contrario. 

Anche nelle relazioni alcuni atteggiamenti possono essere esasperati per esempio dalla necessità di un eccessivo distacco emotivo perché l’attaccamento è vissuto come qualcosa di non funzionale a una relazione, o l’eccessivo invece perdersi nell’altro, guidati da uno spirito di compassione oltre ogni limite. 

Anche il contatto con il proprio corpo spesso vive delle distorsioni: invece che imparare a conoscerlo e accettarlo, esplorarlo e viverlo anche nelle sue dimensioni di dolore, viene spesso colpevolizzato per i bisogni che crea naturalmente. 

Come ricorda Robert Masters nel suo Siritual Bypassing, troppi occidentali negli ultimi decenni vengono illusi da una scorciatoia e non intraprendono un percorso di psicoterapia che potrebbe essere successivamente o contemporaneamente integrato con queste discipline ottenendo un risultato ancora migliore. Purtroppo, è come una dispersione di energia, dove qualcosa di complesso, importante e nobile viene mal utilizzato, creando di fatto uno spreco di tecniche e approcci che potrebbero davvero essere funzionali alla persona. 

Si può uscire da questo atteggiamento? 

Certo, è molto importante però che la persona stessa si accorga dell’inefficacia a lungo termine di queste pratiche, recuperando le proprie energie per intraprendere invece un percorso serio di elaborazione.

Spesso purtroppo le persone restano però bloccate in questi percorsi, o a seguito di guru improvvisati, anche per molto tempo, perché la sensazione di benessere provato inizialmente incentiva a continuare, creando quel rifiuto per il dolore e la sofferenza di cui abbiamo parlato sopra. Provare emozioni positive, incentivare la positività, magari meditare e fare yoga non possono che creare un’euforia iniziale, perché la sensazione di benessere percepita è spesso forte e assolutamente reale. Se a ciò però non segue la discesa in terra e lo scendere a patti con tutte le altre dimensioni umane quella promessa di benessere facile diventa un inganno senza fine, una trappola.  Sganciarsi e capire che è invece necessario attraversare il dolore per comprenderlo e per superarlo, può richiedere proprio per questo motivo molto tempo e fatica. Anche perché spesso le persone prese da questo percorso assumono in automatico un atteggiamento di superiorità che le distacca e crea un po’ di isolamento e senso di disagio verso chi non la pensa nello stesso modo. 

L’efficacia dell’integrazione

Io stessa lavoro nei miei percorsi di psicoterapia con un approccio integrato, sia proponendo percorsi MBSR per la riduzione dello stress, sia proponendo nelle singole sedute piccoli esercizi o pratiche meditative, visualizzazioni e lavoro sulla respirazione. Questo mi permette di ottenere spesso risultati più soddisfacenti soprattutto con pazienti che faticano a integrare le dimensioni mente-corpo, o quando esistono sintomi psicosomatici notevoli. 

È un approccio davvero prezioso che favorisce l’integrazione nel lavoro di psicoterapia, e che può finire totalmente frainteso invece usando queste pratiche come scorciatoie verso un benessere facile ed effimero. 

Dott.ssa Laura Vighi

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