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Come citato all’interno della L.71/2017,  si definisce cyberbullismo qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

L’azione nei confronti della vittima avviene in Rete: in un social network, in un blog, in un sito internet o in ambienti virtuali come Whatsapp. Trova affinità con il già noto bullismo, ma si distingue da quest’ultimo per alcune importanti caratteristiche:

  • Anonimato. Il cyberbullo può nascondere la propria identità dietro l’anonimato o un nickname creato sulla rete; il fatto di non essere a conoscenza dell’identità di chi compie questo atto, mette la vittima in una condizione di solitudine, confusione e disagio, inconsapevole di come poter reagire e in difficoltà nel chiedere aiuto.
  • Assenza di vincoli temporali e spaziali. Il cyberbullo può agire sempre e ovunque. Le chat di Whatsapp, le foto su Facebook, Snapchat o Instagram possono costantemente raggiungere la vittima, non solo di giorno a scuola o al campo di calcio, ma anche a casa, nella propria camera da letto durante le ore notturne. Il destinatario delle offese non ha mai tregua e vive di continuo nel timore di ricevere messaggi diffamatori.
  • Distanza fisica ed emotiva. La rete consente di essere connessi anche senza essere fisicamente vicini. Quando parliamo dal vivo con qualcuno, regoliamo il nostro atteggiamento e le nostre parole in base alla reazione immediata dell’altro: ciò che chiamiamo empatia. Il cyberbullo discrimina e offende la sua vittima e non sa quanto le sue vessazioni possono aver ferito la persona che le ha ricevute. Questo aspetto è ciò che facilita e incoraggia il cyberbullo, poiché non vi è un riscontro diretto delle conseguenze delle sue azioni e quindi non vi è la percezione di un limite raggiunto.

Ciò che viene pubblicato in Rete rimane in Rete

Gli insulti, le diffamazioni, le prese in giro, le foto e i video denigratori sono contenuti che rimangono e che possono essere diffusivi grazie ad un click o ad uno screenshot. I regolamenti che tutti noi abbiamo accettato (e teoricamente letto e compreso) prima della creazione del nostro account sui social network, includono tra le numerose regole, quella secondo cui tutto ciò che si posta nel nostro account diventa anche di sua proprietà. Così può avvenire che una foto ricevuta o una conversazione avvenuta su whatsapp possano essere screenshottate e pubblicate su altri social, dando il via ad una catena infinita.

Cosa può fare in autonomia un minore vittima di cyberbullismo?

Chi è vittima di cyberbullismo può usufruire del diritto all’oblio, il diritto di essere “dimenticato” in rete. Ciascun minore dai 14 anni in su vittima di cyberbullismo, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media la richiesta di oscuramento, rimozione o blocco dei contenuti diffusi nella rete. Se entro 24 ore il gestore non avrà provveduto, l’interessato può rivolgere la stessa richiesta al Garante per la protezione dei dati personali, che rimuoverà i contenuti entro 48 ore. Il Garante ha pubblicato nel proprio sito il modello per la segnalazione/reclamo in materia di cyberbullismo.

Nel caso in cui ci si trovasse di fronte ad un’azione di cyberbullismo è fondamentale evitare di esporre ulteriormente le vittime e i carnefici e quindi ripubblicare o condividere in rete l’episodio, chiedere l’intervento della scuola al fine di attuare interventi psicoeducativi di informazione e prevenzione e richiedere la consulenza di uno psicologo per una maggiore conoscenza e gestione delle ricadute emotive e psicologiche dei soggetti coinvolti.  

Francesca Menchi