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Buongiorno Professor Crivelli, per prima cosa le chiediamo di quali materie si è occupato nella sua carriera da Professore e di quali ordini e gradi scolastici?

EC: Buongiorno, io sono un ex Professore di matematica e di elettrotecnica delle Scuole superiori. 

Grazie! Adesso una domanda importante: che significato ha per lei essere un Professore?

EC: Per me significa che la vita si colora di giovinezza perpetua. Grazie alla loro perpetua presenza, quella dei ragazzi. Questo perché tu invecchi, ma loro si “rinnovano” ogni 5 anni!

Direi anche che il “mestiere” del Professore, come quello del Maestro, è come una “mission” (a volte “impossible”), cui si è chiamati giorno dopo giorno: si è un po’ educatori, un po’ istruttori, un po’ mentori, un po’ allenatori, un po’ genitori e un po’ “giocolieri”…ecco direi così!

Molto bello! E quali suggerimenti sentirebbe di dare alle famiglie in questo delicato momento di reclusione, in cui molti si scoprono in ansia per i propri ragazzi “fermati” nelle programmazioni didattiche consuete?

EC: Prima di tutto mi preme empatizzare con i miei colleghi insegnanti, obbligati a costruire lezioni online per ore ed ore, collegandosi in piattaforma ciascuno dalla propria abitazione, con magari anche la presenza di figli, spazi in condivisione o situazioni altrettanto scomode

Ed ora arrivo alla risposta:

ho raggiunto la soglia dei 72 anni di età. Il mio sguardo sulla vita è ormai colmo di immagini, situazioni ed esperienze che mi portano oggi a potervi dire con fermezza che l’apprendimento passa soprattutto attraverso la Vita, quella vera, oltre che attraverso le relazioni, quelle che si possono definire di fiducia e di stima. 

Professore, cosa intende dire?

EC: Intendo dire che di sicuro in questo momento i ragazzi hanno bisogno dei Professori al loro fianco, come ancore di fiducia che li aiutino a “stare” e che li invoglino a sviluppare il loro potenziale creativo e riflessivo (ora che sono in isolamento e in carenza di stimoli ambientali).

Ma, a mio parere, non serve andare oltre, non serve barricarsi dietro montagne di programmi didattici, perché in questo momento la “conoscenza fine a sé stessa”, quella che segue i programmi didattici, risulterebbe pressoché sterile.

Cosa si potrebbe, quindi fare, con i ragazzi?

EC: Beh, ad esempio, perchè non approfittare del “contatto” con gli accadimenti del momento e con i relativi vissuti che questi ultimi possono generare nell’animo dei ragazzi?

Perchè non farli soffermare sulle emozioni, sui pensieri, sulle paure, sui desideri, sulle aspettative, sulle speranze, sul loro punto di vista? Facendoli lavorare anche creativamente, perché no!

Questo a cosa servirebbe?

EC: forse per la prima volta potrebbero diventare loro stessi i “creatori attivi” del loro programma didattico, dove il loro “spazio di pensiero” possa diventare il protagonista dell’apprendimento, dove possano allenarsi a conoscersi più a fondo o a sviluppare un loro punto di vista, oralmente o in forma scritta.

Ho capito: suggerisce, quindi, di dare più spazio alla riflessione attiva sul significato e sull’impatto che può avere sulla loro vita la tragedia che stiamo vivendo?

EC: si, perché è adesso che hanno la possibilità di apprendere attraverso la vita, quella vera, attraverso ciò che sta accadendo al loro mondo e al loro tempo, alle loro famiglie e a loro stessi.

Non serve altro…non servono programmi di studio da portare avanti, o meglio: servono se si è in grado di collegarli al momento presente. 

Interessante. Mi può fare un esempio?

Ad esempio, si possono fare collegamenti tra la storia e l’“oggi”, rendendo stimolante l’apprendimento di “ieri”, poiché interessante spunto di riflessione per l’“oggi”. La storia ci può sempre insegnare qualcosa.

Questo è un momento cruciale, che mai è esistito nella storia dell’umanità moderna e probabilmente mai si ripeterà. Siamo nel bel mezzo di una pandemia di portata mondiale e non possiamo aspettarci che si proceda come se nulla fosse, anche se ognuno da casa propria.

C’è da porre attenzione a ciò che sta accadendo, soprattutto con i ragazzi.

Serve una buona vicinanza relazionale, unita a tanta riflessione: non parlo solo della riflessione legata alle pagine dei libri che li distraggono dai loro vissuti, parlo della riflessione legata a ciò che stiamo vivendo, alla loro personale esperienza, alle loro emozioni, ai loro pensieri…che spesso i ragazzi hanno, ma non conoscono o non sanno decifrare, perché non abituati a farlo.

Può essere un’occasione d’oro questa per loro, non un tempo perso! 

Noi insegnanti siamo “guide di vita” prima ancora che “guide di conoscenza”; abbiamo un compito importante: quello di affiancare i nostri ragazzi negli anni della loro crescita, in un periodo della loro esistenza tanto delicato quanto complesso…e in questo momento più che mai!

Quale pensa che sia il maggiore ostacolo a questo tipo di approccio?

EC: Per noi insegnanti il problema non è mica la volontà. Si tratta più che altro degli obblighi cui veniamo sottoposti (da parte del sistema scolastico intendo) e del timore di venire meno a quegli obblighi.

Io empatizzo, come dicevo inizialmente, con i miei colleghi che, “ingabbiati” dal sistema che li costringe “fare, fare, fare”, senza poter “stare” con i propri alunni, in questo momento di centrale importanza esistenziale … rischiando così di perdere “l’attimo fuggente”.

Grazie di cuore Professore. Posso chiederle di concludere definendo in poche sue parole quale potenziale può racchiudere questo momento di “apparente stallo” per gli studenti?

EC: Grazie a voi! Io penso possa essere, se sfruttata bene, un’occasione d’oro per valorizzare la vita e capirne i sensi più profondi, per conoscersi, per sviluppare compassione e potenziale creativo.