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Una parola che sollecita sempre la mia curiosità e che sento comparire spesso nei commenti dei genitori riguardo ai loro figli è pigrizia.

Pigrizia, svogliatezza, apatia. 

“Sta tutto il giorno attaccato al cellulare o alla play, chiuso in camera, sdraiato sul divano… vorrei che uscisse, che si vedesse con gli amici… ogni tanto cerco di combinargli qualche uscita o gli propongo di invitare qualche compagno di classe a casa…ma nulla… è di un pigro! I miei, quando avevo la sua età dovevano legarmi alla sedia perché stessi un po’ di più in casa”. 

Commenti simili sono tra le descrizioni più frequenti di un adolescente oggi e mi sembra che l’etichetta più facile a cui si ricorre per darsi una qualche spiegazione sia proprio la pigrizia. Ma sarà veramente così? Sarà davvero di pigrizia che stiamo parlando? Credo che forse dovremmo fare uno sforzo in più. 

“Beato chi è capace di accettare la propria pigrizia”

Se anche si trattasse di semplice pigrizia, credo che tutto sommato non sarebbe poi così male: nell’epoca della frenesia, dell’andare di corsa, del tempo che ci domina, un po’ di pigrizia potrebbe aiutare a “stare fermi; prendersi il proprio tempo; accorgersi delle cose belle che entrano nella nostra vita e che facilmente passano inosservate; ascoltarsi. Da questo punto di vista oserei dire: “beato chi è capace di impigrirsi e di accettare la propria pigrizia senza sentirsi fuori posto”. 

C’è però un altro fronte da osservare, che riguarda la voce stessa dei ragazzi e che fa pensare che la pigrizia non basti a cogliere davvero la loro esperienza. I vissuti che riscontro maggiormente sono di solitudine; la sensazione di non avere un posto nel mondo, di non avere amici con cui condividere se stessi, l’assenza di piacere per le relazioni, la noia. Si coglie da subito una profondità nettamente maggiore, che a mio avviso dobbiamo sforzarci di comprendere.

La parola che più sento calzante, sufficientemente ampia quanto mirata, è disinvestimento. Mentre la pigrizia non esclude il desiderio di qualcosa, ma rappresenta al massimo la fatica ad attivarsi per raggiungerlo, i ragazzi oggi paiono soffrire proprio per l’assenza di desiderio. Qualcosa dunque che sta ancora più a monte. 

Viviamo nell’epoca delle “passionitristi”

Miguel Benasayag (2003), psicoanalista e filosofo, spiega questa tendenza adolescenziale definendo la nostra epoca, l’epoca delle passionitristi, ovvero l’epoca del “una cosa vale l’altra”, dell’apatia, dell’impotenza, anche a sollecitarci nel pensare quanto tutto ciò non riguardi l’adolescenza soltanto.

L’adolescenza, in particolar modo le forme mutevoli del disagio adolescenziale, diventano spesso la cartina tornasole, lo specchio, di quella che è la cifra del nostro tempo. 

Il disinvestimento non si manifesta solamente con l’assenza del desiderio: l’apatia, la noia, ma anche la facile reversibilità dei gusti, delle passioni, il bisogno di passare rapidamente da uno stimolo all’altro, di occupare uno spazio vuoto con qualcos’altro nel più breve tempo possibile, sono allo stesso modo indice di incapacità ad investire davvero su qualcosa e credo che tutti possiamo un po’ ritrovarci in queste tendenze. Ciò che potrebbe apparire come investimento, corrisponde in realtà più spesso a un puro e semplice “attaccamento”, ovvero a qualcosa di molto più superficiale e utilitaristico. Mi impegno in un’attività finché questa mi “serve”, finché mi porta un guadagno, finché mi conviene…quando questa inizia a “chiedermi qualcosa indietro”, richiede un “dare” oltre a essere un ricevere, non mi interessa più.

Lo stesso vale per le relazioni, nelle quali senza troppo accorgerci, ci teniamo spesso solamente “sulla soglia”: non appena arrivano le frustrazioni, bisogna fare lo sforzo di attendere, di tollerare l’altro nella sua diversità e nei suoi limiti, facilmente tagliamo. Allora dobbiamo provare almeno a chiederci se questi sono davvero investimenti oppure no. Ci renderemo conto che spesso si tratta più che altro di attaccamenti, dettati da bisogni che non riusciamo a riconoscere e che senza saperlo, chiediamo all’Altro di colmare, riparare, soddisfare. 

L’investimento “vero e proprio” spaventa. Spaventa perché potenzialmente contiene sempre la minaccia di essere abbandonati, la minaccia del fallimento: qualcosa che l’uomo contemporaneo fatica molto a tollerare e che i ragazzi faticano a tollerare. Dobbiamo essere esseri perfetti, felici, belli e sani…come facciamo a esporci a un rischio simile?

Riflettendo su questi temi e facendolo ponendo sempre un’attenzione particolare all’adolescenza, mi vengono alla mente fenomeni molto attuali come la dilagante moda degli influencer e degli youtuber. Molti ragazzi ambiscono a diventare tali, seguendo le orme dei più celebri. Mi colpisce sempre quanta spavalderia e intrepidità appaia in superficie, contro altare (non sempre) di una fragilità nascosta altrettanto stupefacente, ma spesso e volentieri non comunicabile e dunque invisibile.

I “like” e le “visualizzazioni” alimentano un senso di sé positivo, che altrimenti non si reggerebbe in piedi da solo; non è un sano desiderio di relazione a sottendere, ma un estenuante bisogno di trovare approvazione, valore, sostegno attraverso lo sguardo dell’altro. 

Tale bisogno è così drammaticamente vitale che lo scontro con l’inevitabile fallimento (perché non si può pensare realisticamente di piacere al mondo intero!) spesso non è calcolato nella scelta iniziale e l’impatto ha facilmente conseguenze devastanti sul già fragile senso di sé di molti ragazzi. 

Concludendo e tornando alla rilettura della pigrizia come disinvestimento: ciò su cui ognuno di noi può provare a riflettere e ciò su cui possiamo aiutare i giovani nel qui ed ora del loro cammino è riassumibile in una semplice frase: “rinunciare ad amare/investire (persone come cose) per paura di soffrire/fallire, è come rinunciare a vivere per paura di morire”. C’è chi sceglie la rinuncia e fino all’ultimo ognuno di noi è libero in questa scelta, ma è bene sapere che si tratta di una scelta che comporta ugualmente un caro prezzo. La sofferenza infatti, così come la morte stessa, è parte inscindibile della vita. In fondo, non potrebbe giungere la bellezza della primavera, se non si ci fosse l’inverno a precederla. 

Alessandra Micheloni