Le ricerche degli ultimi anni mostrano come l’attuale contesto professionale italiano risulti ancora molto incentrato su un assetto organizzativo che privilegia un orientamento prestazionale individuale, a discapito di un approccio gruppale in cui gli interessi lavorativi del singolo sono subordinati al bene del team. In un mercato sempre più competitivo questa modalità di operare non è più esaustiva e nasce, quindi, l’esigenza per molte aziende di iniziare a considerare con consapevolezza le potenzialità di una nuova struttura organizzativa che metta il “gruppo” al centro del progetto aziendale, partendo dal presupposto che l’obiettivo del benessere relazionale costituisce la base per qualsiasi forma di profitto.
Considerando tale premessa l’attitudine a lavorare in team rappresenta oggigiorno una delle maggiori soft skills richieste nel mondo aziendale. Per poter “andare lontano” e raggiungere obiettivi che non si estinguono solo a breve termine, ma che si strutturano sul medio e lungo periodo è fondamentale familiarizzare con il concetto de “l’unione fa la forza”, proprio di quei gruppi i cui membri non costituiscono la semplice somma delle parti, ma compongono una vera e propria squadra, un sistema complesso, strutturato e potente il cui funzionamento dipende in maniera inevitabile da una serie di processi, psicologici, motivazionali e operativi.
Lavorare in gruppo significa entrare a far parte di un organismo coeso dove le persone si fanno portatrici di competenze e personalità personali e peculiari, interagendo e influenzandosi reciprocamente al fine di raggiungere un obiettivo preciso, comune e concordato. Il lavoro in team stimola la cooperazione al servizio degli obiettivi prefissati e la condivisione sia degli aspetti operativi sia di quelli emotivi connessi alla pratica professionale. Affrontare un percorso, personale o lavorativo, consapevoli delle fatiche che questo può comportare assume una valenza diversa se condiviso con qualcuno su cui poter contare e a cui poter affidare reciprocamente se stessi. In linea generale fare squadra, qualunque sia il proprio ruolo, stimola nelle persone una serie di cambiamenti personali e relazionali: porta ad essere più motivati, meno ansiosi, più intraprendenti nell’esprimere idee e pensieri, più ricettivi nell’accogliere opinioni diverse dalle proprie.
ll lavoro di gruppo nasce quando ci si concentra sul “noi” e non soltanto sull’“io” e quando questo avviene si consolida il sentimento di appartenenza che lega gli individui al gruppo e all’intento di voler procedere insieme e non da soli, di voler andare lontano piuttosto che veloci.
Se nei contesti di vita (privati e professionali) si lavora in gruppo, l’impegno collettivo diventa fonte di creatività e armonia, la fatica si attenua e, in termini di efficacia, si rende di più.
Chi compone un gruppo collabora con i propri valori, insieme a quelli dei colleghi, all’esito positivo dell’iniziativa. Aggiunge valore al contributo di tutti. In questo modo il lavoro diventa fonte di motivazione, creatività, soddisfazione e pure di felicità. Si diventa più sicuri di sé, più forti e più produttivi, più tolleranti verso le diversità non soltanto nel lavoro, ma in ogni contesto della vita.
Considerando il rovescio della medaglia, ciò che emerge è la constatazione che alle volte andare avanti insieme ad altre persone non rappresenta certamente la cosa più semplice al mondo e spesso può non essere così veloce come ci si aspetta. Sono innumerevoli le difficoltà riscontrabili in un “viaggio condiviso”, prima tra tutti la capacità di definire una corretta distanza relazionale tra chi compone il gruppo. Per citare Schopenhauer, il famoso dilemma del porcospino riporta:
in una fredda giornata d’inverno un gruppo di porcospini decide di stringersi insieme per trovare calore. Ma, man mano che si avvicinano gli uni a gli altri, i porcospini cominciano a pungersi a vicenda. Ecco che allora diventa necessario allontanarsi. Nei giorni a seguire provano a stringersi di nuovo per sopportare meglio il freddo, ma ancora una volta ricominciano a pungersi.
Con questo breve apologo il filosofo Schopenhauer ci aiuta a riflettere sulla complessità del collaborare in gruppo. Saper mantenere la giusta distanza interpersonale nei rapporti con le persone o percepire quando è il caso di abbassare “gli aculei” ed avvicinarsi dolcemente, è ciò che consente di non ferirsi l’un l’altro. L’effetto porcospino ci fa comprendere quanto sia rilevante la continua ricerca di un adeguato spazio relazionale nelle collaborazioni gruppali.
I team professionali si rivelano efficaci nella misura in cui giocano in modo equilibrato con la distanza e la vicinanza tra i membri.
Quando questo non accade si generano dei meccanismi disfunzionali che, se reiterati, possono condurre a: assenza di fiducia nel team, conflitti, mancanza di impegno, assenza di responsabilità (Ponziopilatismo), disattenzione per i risultati e tutta una serie di problematiche che potrebbero inficiare la buona riuscita del lavoro.
Detto ciò si potrebbe allora supporre che un orientamento professionale maggiormente rivolto alla prestazione individuale porterebbe a maggiori benefici, ma in realtà come ben espresso nella prima parte dell’articolo, questa forma mentis risulterebbe riduttiva sia per l’individuo in sé, che andrebbe a perdersi quegli aspetti di condivisione, cooperazione, supporto e sostegno, funzionali al raggiungimento degli obiettivi, sia per il contesto professionale che nel lungo periodo non riuscirebbe ad ottenere i risultati sperati.
Se dovessimo riassumere tutto questo con una metafora sportiva potremmo pensare a quanto sia fondamentale per un team vincente non contare solo sui colpi di genio del singolo campione di turno (aiuterebbero sì ad uscire dall’impasse di qualche partita, ma non consentirebbero alla lunga di poter vincere l’intero campionato), ma sulla totalità dei componenti, che ciascuno con i propri valori, le proprie idee, le proprie peculiarità, mette a disposizione se stesso, per il raggiungimento di un obiettivo comune.
E come diceva Alexandre Dumas nel suo famoso romanzo “I tre moschettieri”:
Uno per tutti, tutti per uno!
Dott.ssa Martina Colucci