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Il ruolo della memoria e dei ricordi nella costruzione delle immagini corporee disfunzionali nei soggetti con DCA

Il concetto di immagine corporea è un assunto importante in tutti gli ambiti della psicologia, ma assume un senso particolare in relazione ai disturbi del comportamento alimentare (DCA), dove il corpo è il bersaglio degli attacchi del paziente, il mezzo attraverso il quale si manifesta il disagio, ma anche uno dei punti di accesso fondamentali per la terapia.   

Schilder, psicologo che si è occupato di immagine corporea, anche da un punto di vista neurologico, la definisce come: “Quel quadro nel nostro corpo che formiamo nella nostra mente, ossia il modo in cui il nostro corpo appare a noi stessi” (Image and appearance of human body 1935). Un concetto dove trovano spazio sia i vissuti psicologici, sia le percezioni ma anche le componenti culturali che contribuiscono a formare l’immagine corporea che viene così interiorizzata dal soggetto. 

Nei DCA, l’immagine corporea distorta è uno dei criteri diagnostici, oltre ad essere un importante elemento di mantenimento del disturbo stesso. È importantissimo per il terapeuta poter accedere da subito all’immagine corporea del paziente, per poter lavorare rendendola parte dello spazio e della relazione terapeutica. 

Spesso mi è capitato di sentire il setting abituale come “abitato” da tre persone, io la mia paziente e questa immagine corporea molto ingombrante e che sembra ragionare attraverso un pensiero tangente e intrusivo. 

 È un ingombro impossibile da ignorare, condizionante presente e molto doloroso per i nostri pazienti. Spesso è legata anche a immagini irrealistiche di corpi perfetti continuamente mostrati attraverso i media, ma molto importante è in realtà anche il ruolo della memoria in questa costruzione. Perché l’immagine corporea, come citato sopra, si costruisce nel tempo attraverso diversi contributi e va a depositarsi nel nostro magazzino mnemonico.  

Ricordo una paziente ogni volta che raccontava delle estenuanti prove di vestiti davanti allo specchio: “Lo specchio a volte dice anche la verità, per quell’istante riesco a percepire un corpo fin troppo magro, ma finito quell’istante l’immagine che torna nella mia mente è sempre la solita, piena di difetti, ingombrante ed enorme. E non mi ricordo più di aver visto un corpo magro nello specchio, ma sempre la stessa immagine che torna e ritorna a confondere quello che vedo nello specchio”. 

La percezione non basta a cacciare via un’immagine ben depositata nella memoria ben consolidata nel tempo, e che ha avuto modo di rafforzarsi negli anni incrociando commenti, confronti, immagini e persone. Punto questo che spesso crea litigi e incomprensioni in famiglia, dove il fatto che lo specchio parli chiaramente sembra un’ovvietà indiscutibile. 

Indagando con i pazienti l’origine delle immagini distorte, si arriva spesso a scavare in momenti lontani nel passato, tanti piccoli episodi, frasi dette da coetanei e non, sensazioni corporee provate, confronti con altri corpi, tanti, a volte piccoli a volte più grandi mattoncini, che vanno a depositarsi nella memoria a lungo termine determinando così una permanenza di questa immagine corporea disfunzionale. 

La memoria a lungo termine utilizza meccanismi biologici di programmazione e riprogrammazione continui che spiegano come avviene l’archiviazione a lungo termine dei ricordi: subito dopo l’acquisizione delle informazioni vi è una fase di consolidamento che conduce dalla labilità del ricordo alla stabilità, facendo questa operazione parte dell’informazione viene scartata e vengono selezionate delle componenti significative; nel corso del tempo esistono diverse finestre di consolidamento in occasione di eventuali rievocazioni della traccia mnestica, e ad ogni rievocazione il ricordo tende a consolidarsi ancora più stabilmente (Cristina M. Alberini). 

Attraverso la terapia è possibile lavorare sulle valutazioni negative relative  al proprio corpo operando sui ricordi relativi ad esso, che siano esperienze francamente traumatiche o  meno,  percezioni distorte o sensazioni, tutto ciò che ha contribuito alla costruzione dell’immagine corporea disfunzionale. 

Che l’approccio terapeutico sia più orientato a ristrutturare cognitivamente questa immagine o a scardinarla più da un punto di vista emotivo, l’obiettivo a lungo termine è in ogni caso la costruzione di nuova immagine sempre più realistica e “sana” del proprio corpo, partendo però da un materiale depositato lontano nella nostra memoria.  

Per cui a prescindere, in questo articolo, dal tipo di approccio terapeutico, ragionare sull’importanza di un concetto semplice e basilare come la memoria, a volte però troppo scontato, può aiutarci a comprendere meglio la persistenza e la durezza di certe immagini disfunzionali, resistenti e difficilmente modificabili anche dopo molte sedute di lavoro intenso. 

 E in parallelo evidenziare quanto importante sia la raccolta dei ricordi più o meno antichi del paziente sul suo corpo, sul suo corpo nel mondo, sul suo essere una persona con un corpo scomodo, le sue sensazioni e tutto ciò che può aver contribuito a formare la sua attuale immagine corporea, ma anche ovviamente a scrivere la sua storia di malattia prima e quella terapeutica poi. 

Dott.ssa Laura Vighi