La mindfulness, o consapevolezza non giudicante dell’esperienza del momento presente, momento dopo momento, viene oggi inclusa in un gran numero di interventi psicologici che si sono dimostrati utili per molti disturbi medici e psicologici. Tra le applicazioni più interessanti della mindfulness rientra senza dubbio la possibilità di questa pratica di poter ridurre in modo significativo l’intensità e la spiacevolezza del dolore. Ma come è possibile che l’atto di prestare maggiore attenzione al presente e in modo non giudicante possa avere un’influenza benefica sulla sintomatologia dolorosa? Dopotutto il dolore non è forse una questione più fisica che psicologica?
In realtà lo è solo in parte. Da tempo sappiamo che la percezione del dolore è legata all’attivazione di specifici recettori chiamati nocicettori. Più di recente si è però scoperto che l’atteggiamento mentale con cui una persona si rivolge al proprio dolore può avere un ruolo altrettanto determinante nel sentire “più o meno male”.
Uno dei modelli psicologici del dolore ad oggi più studiati è quello della tendenza alla “paura/evitamento” del dolore, modulato da una generale tendenza ad avere pensieri catastrofici sul proprio dolore. Il modello della “paura/evitamento” del dolore mostra come le persone che hanno maggiormente paura di sentire dolore tendono nel tempo a cercare progressivamente di evitarlo in ogni modo possibile. Purtroppo tale tendenza porta spesso progressivamente a utilizzare in modo errato certi gruppi muscolari con un conseguente aggravio anziché sollievo dei sintomi dolorosi stessi.
Inoltre, studi più recenti hanno dimostrato che le persone che hanno maggiormente paura di sentire dolore sono le stesse che tendono più di frequente ad avere pensieri catastrofici circa il proprio dolore, pensieri come “non ce la farò mai ad uscirne” o “non c’è nulla che io possa fare per gestire il mio dolore”. Queste persone entrano quindi in un circolo vizioso in cui i pensieri catastrofici circa il proprio dolore portano la persona a sperimentare timore riguardo al dolore presente e quello futuro. Successivamente questo timore può indurre uno stato di tensione o una tendenza ad assumere ipotetiche posture antalgiche (cioè volte a contrastare o ridurre il dolore), fattori questi che altro non fanno se non aumentare il dolore stesso. L’importanza del ruolo dei pensieri catastrofici nella percezione del dolore diventa ancora più evidente nel momento in cui si pone l’attenzione sul fatto che fino al 30% circa dell’intensità di dolore percepito sembra proprio essere amplificata da tali pensieri.
In che modo quindi la mindfulness può essere di aiuto rispetto a tali tendenze? E’ la domanda che si è posta il team di Schutze e dei suoi collaboratori della Curtin University of Technology in Australia. Gli autori di tale studio sono partiti dalla considerazione che le pratiche di mindfulness lavorano maggiormente sull’attitudine con cui una persona si relaziona alle proprie sensazioni fisiche e ai propri pensieri piuttosto che sul tentativo spesso automatico di reprimere le sensazioni dolorose e sostituire direttamente i pensieri “negativi” con pensieri più “positivi” ma spesso illusori, due atteggiamenti entrambi legati nel medio/lungo termine ad un generale peggioramento della percezione del dolore. Inoltre, tali autori si sono posti come obiettivo quello di comprendere meglio in che punto del processo descritto nella figura riportata più in basso potesse entrare in gioco il ruolo dell’essere più o meno mindful, dell’essere cioè maggiormente disponibili ad entrare in contatto col proprio dolore in modo più accogliente e meno giudicante.
Partendo da tali considerazioni, gli autori dello studio hanno somministrato a un campione di 104 individui afflitti da varie forme di dolore cronico una batteria di test che includevano misure dell’intensità del dolore soggettivamente percepito, della tendenza ad avere pensieri catastrofici sul dolore stesso, della paura del proprio dolore e della tensione legata al proprio dolore, misurati con appositi questionari. Hanno inoltre somministrato ai partecipanti allo studio dei questionari volti a misurare i livelli di mindfulness soggettivamente percepiti.
Gli autori dello studio hanno scoperto che i livelli di mindfulness erano significativamente correlati agli altri parametri, in modo tale per cui più bassi livelli di mindfulness predicevano una quota significativa dell’intensità del dolore percepita. Più dettagliatamente, i soggetti che avevano più bassi livelli di mindfulnesstendevano ad avere pensieri catastrofici nel 41% dei casi in più rispetto a soggetti con più elevati livelli di mindfulness. Inoltre, nei soggetti con più bassi livelli di mindfulness, gli aumentati pensieri catastrofici tendevano ad essere direttamente correlati all’aumento dell’intensità del dolore soggettivamente percepita, mentre tale associazione non era riscontrabile nei soggetti con alti livelli di mindfulness.
Tale risultato suggerisce che essere più mindful, cioè, essere maggiormente in grado di non reagire impulsivamente alle proprie esperienze spiacevoli e di non giudicarle, permetterebbe sia di ridurre il pensiero catastrofico rimuginativo circa il proprio dolore sia, a dispetto dell’insorgere di tali pensieri negativi, di esserne meno sopraffatti, riducendo, di fatto, l’intensità del dolore percepito.
Questi risultati, assieme a quelli di molti studi che mostrano come gli interventi basati sulla mindfulness, come la Riduzione dello Stress basata sulla Mindfulness, possano essere di significativo aiuto per le persone che soffrono di dolori cronici, stanno iniziando a spiegare perché essere mindfulpuò essere ampiamente utile per le persone che soffrono di doloro cronici. Dopotutto, come diceva Epitteto, “Non sono tanto gli eventi ma il nostro punto di vista riguardante gli eventi che è il fattore determinante. Dovremmo essere più preoccupati di rimuovere i pensieri sbagliati dalla mente che di rimuovere gli ascessi e i tumori dal corpo” o, per dirla con le parole del Buddha, “Nella mente ha origine la sofferenza, nella mente può avere origine la cessazione della sofferenza”.
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Alberto Chiesa