Alcuni dei corpi femminili presi come esempio dalle ragazze che soffrono di DCA, sono sicuramente quelli delle modelle. Modelle che posano, sfilano, fanno foto su Instagram, ma modelle.
Mi ha incuriosito cercare da dove arrivi la parola modello: dal lat. Modulus, mudus ossia misura. Come se un corpo di modella desse quindi la misura del corpo giusto, desiderabile, dettasse le misure e le regole per essere un corpo bello.
E questo sposta inesorabilmente il tutto verso un mondo di apparenza dove assomigliare, essere come è più desiderabile che non essere.
E per una ragazza che attraversa il percorso di un disturbo alimentare, questo confonde enormemente l’obiettivo di un corpo sano, magari snello, ma reale, con le caratteristiche di un corpo reale e non patinato da copertina.
E lo stesso ragionamento vale per le taglie nei negozi, o nei siti online, dove le taglie più piccole vengono sempre usate come il modello di vestito migliore da mostrare, ghettizzando ancora una volta le taglie più grandi. Perché anche le modelle curvy sono a loro volta confinate in modello altro di femminilità, si parla di modelle e modelle curvy, non di modelle in generale.
Sulla passerella non si vedono indistintamente donne di taglie differenti, anzi spesso le collezioni vengono separate e trattate in giorni diversi.
Se pur apprezzabile il fatto che la moda e i media si stiano aprendo a corpi femminili cosiddetti non convenzionali (espressione altrettanto agghiacciante), molta è ancora la strada da percorrere, soprattutto ascoltando le parole di ragazze che lottano ogni giorno contro il proprio corpo già sotto attacco a causa del disturbo, ma ancor più vissuto come ingiusto e imperfetto se paragonato a questi modelli.
Laura Vighi