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A molti di noi sarà capitato, almeno una volta nella vita, di vivere un’esperienza e di ricordarla come “traumatica”. Per qualcuno potrà essere stato un incidente stradale, un lutto improvviso, un’aggressione, un terremoto. Qualcun altro potrà sentirsi tormentato dalla fine di una relazione sentimentale, dall’aver perso il lavoro, dall’essere stato messo in ridicolo da un collega, dall’aver vissuto un fallimento.

Che cos’è il trauma psicologico?

Nei primi casi si parla di traumi con la “T maiuscola”, eventi che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o altrui, i secondi sono detti invece traumi con la “t minuscola”, tipicamente di tipo relazionale in cui ad essere minacciata è la rappresentazione di sé.

La distinzione fra traumi con la “T” e traumi con la “t” aiuta a orientarsi nella complessità del concetto di trauma e nelle sue infinite sfaccettature. Se vogliamo cogliere il suo significato più profondo, dobbiamo però partire dal principio e risalire alla sua radice etimologica: dal greco “trauma” significa ferita, lacerazione, danno; “psyché” significa anima. Possiamo dunque considerare il trauma psicologico come una ferita dell’anima. Una ferita ancora aperta, una ferita che non riesce a guarire.

Quello che rende un’esperienza traumatica non è tanto la gravità dell’evento in sé, quanto il carico emotivo legato al ricordo, che oggi appare forte e lacerante come quando l’esperienza è stata vissuta. Quella vampata di calore che arriva improvvisamente, quel nodo alla gola che non fa mangiare, quelle lacrime che sgorgano inaspettate quando il ricordo torna alla mente.

Cosa accade nella mente?

Il nostro cervello è incessantemente impegnato a elaborare ciò che viviamo, a dotarlo di senso e di significato e ad immagazzinarlo. Ogni esperienza della nostra vita ha infatti una corrispondenza dentro di noi, nelle nostre reti e aree cerebrali. Siamo meravigliosamente dotati di un “sistema innato di elaborazione” che mette in collegamento le informazioni che riceve dall’ambiente creando un’infinità di connessioni, in continuo sviluppo. È proprio grazie a questo sistema innato che riusciamo a superare eventi negativi e dolorosi senza necessariamente sviluppare un disturbo post-traumatico.

Tuttavia, quando viviamo un’esperienza dal forte impatto emotivo, può accadere che questo sistema vada temporaneamente in “tilt” non riuscendo a dare una collocazione funzionale alle informazioni ricevute. In alcuni casi, entro un certo lasso di tempo, il carico emotivo defluisce e l’equilibrio viene ristabilito. In altri, invece, si verifica un vero e proprio blocco per cui tutti i tentativi di elaborazione risultano fallimentari. In questa prospettiva, il sintomo e la patologia sono visti come ricordi inelaborati, congelati e isolati dal resto della rete neurale.

Il passato è presente

Se per i traumi con la “T” le persone generalmente riescono a identificare con facilità l’evento che è all’origine del proprio disagio, per i traumi con la “t” può non essere altrettanto facile.  Questo perché si tratta di microtraumi ripetuti, simili tra loro nel modo in cui sono stati codificati dal cervello, che dall’infanzia ad oggi hanno piano piano scavato una ferita sempre più profonda, sebbene in modo non sempre evidente ed eclatante.

In questi casi diventa utile in psicoterapia recuperare il bandolo della matassa e individuare gli eventi negativi immagazzinati in maniera disfunzionale, per poi trattarli come meritano di essere trattati e cioè come traumi veri e propri.

La terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) offre un valido aiuto in questo ed è oggi riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come trattamento d’elezione dei disturbi correlati al trauma.

Trauma non significa debolezza

Che si tratti di una “T” o di una “t”, siamo tutti potenzialmente vulnerabili ai traumi. Anche chi ha superato numerosi “tsunami emotivi” può a un certo punto della sua vita subire l’impatto di un evento drammatico. E ognuno di noi, attraverso le proprie risorse, può superare quell’evento, sentendo persino di essere cresciuto come persona proprio grazie ad esso.

La forza non sta solo in chi ne esce illeso, ma anche in chi ha il coraggio di guardare quella ferita e di prendersene davvero cura.

“Non capiamo mai quanto è buona la nostra memoria

fino a quando cerchiamo di dimenticare qualcosa”

Etienne Bonnot de Condillac

Elisabetta Perego

Psicologa – Psicoterapeuta

Terapeuta EMDR